Miti e verità sui licheni

Che cosa sono i licheni?

I licheni sono organismi unici. Sono un’associazione simbiotica fra un fungo e un’alga. Più precisamente il termine “alga” si riferisce a un cianobatterio (Cyanobacteria) oppure ad un’alga verde (Chlorophyceae); il fungo è di solito un Ascomicete, anche se in rare occasioni può essere un Basidiomicete. Le ife del fungo avvolgono l’alga, dando origine a una struttura semplice nota con il termine “tallo”. L’alga fornisce i nutrienti (carboidrati) ottenuti con la fotosintesi mentre il fungo procura acqua, minerali, protegge dalla luce eccessiva e dall’essiccamento, e facilita lo stoccaggio dell’acqua (Conti e Cecchetti, 2001; Essen e Coxson, 2015). Per l’attivazione della fotosintesi i licheni contenenti cianobatteri devono essere bagnati con acqua libera mentre i licheni composti da alghe verdi possono essere attivati più semplicemente dall’aria umida.

I licheni presentano un’estrema variabilità in dimensioni (da meno di 1 cm in molte specie di licheni crostosi a oltre 1 m di lunghezza in alcune specie epifite), colore e forma di crescita. Il corpo vegetativo (tallo) è di solito classificato in tre principali forme di crescita: i licheni crostosi formano croste fortemente aderenti a rocce, alberi o terreni; i licheni fogliosi sono sono composti da lobi appiattiti simili a foglie, , attaccati meno saldamente ai loro substrati, di solito per mezzo di rizomi; i licheni fruticosi per lo più ramificati, possono pendere dai rami sottoforma di lunghi filamenti o possono essere simili a piccoli arbusti che crescono verso l’alto (Desbenoit et al., 2004; Essen e Coxson, 2015). In natura i licheni crescono molto lentamente; come generalizzazione, la maggior parte delle specie fogliose ha una crescita di 0,5-4 mm/anno, le specie fruticose crescono 1,5-5 mm/anno e le specie crostose 0,5-2 mm/anno (Rankovic e Kosanic, 2015).

I licheni ricavano i loro nutrienti principalmente dall’aria e dall’acqua presente nell’ambiente e non dal substrato su cui crescono. Dunque potrebbero crescere, potenzialmente, su tutti i substrati, compresi quelli molto poveri di nutrienti. Infatti, i licheni sono in grado di colonizzare gli alberi (licheni epifiti), la terra (licheni terricoli), la pietra (licheni epilitici) e persino il vetro. I licheni sono concorrenti deboli nella sfida con le piante e i muschi, perciò tendono a favorire habitat aperti e poco ospitali che sono per lo più privi di altra vegetazione (Aptroot e James, 2002; Lisci et al., 2003).

Licheni e pietre: un connubio di vecchia data

I licheni furono probabilmente una delle prime forme di vita ad occupare le superfici terrestri della Terra, come colonizzatori pionieri dei giovani affioramenti litici. Oggi, circa il 6% della superficie della Terra è coperta da licheni. In gran parte del mondo (al di fuori dei tropici) la maggior parte delle specie di licheni sono principalmente epilitiche (Aptroot e James, 2002) e la maggior parte della biodiversità sulle rocce è generalmente costituita da specie di licheni. Fanno eccezione solo le rocce permanentemente sommerse o fortemente ombreggiate, dove i licheni crescono difficilmente.

I licheni possono trasformare i substrati di pietra e svolgere un importante ruolo biogeochimico nei processi di erosione delle rocce, nella distribuzione dei nutrienti (come carbonio, azoto) e nei processi di formazione del suolo. I licheni accelerano l’erosione delle rocce mediante processi sia fisici che chimici, come la rottura meccanica del substrato da parte delle ife che penetrano i primi millimetri (0,3-16 mm) di pietra, l’espansione e la contrazione della biomassa di micelio infiltrata durante i periodi umidi e asciutti, la secrezione di acidi organici (es. acido ossalico) che promuovono la dissoluzione minerale e la chelazione dei metalli (Haas e Purvis, 2006). Non per ultimo, l’anidride carbonica, prodotta dalla respirazione del tallo, dissolve le rocce calcaree in presenza di umidità, portando alla formazione di bicarbonati solubili che possono essere dilavati o causare incrostazioni (Lisci et al., 2003).

Licheni e monumenti: un patrimonio di biodiversità

I licheni possono crescere naturalmente su substrati pietrosi artificiali, come mattoni, malta e muri di ciottoli, monumenti megalitici e cimiteri (Aptroot e James, 2002). La prima selezione della flora lichenica viene effettuata dal pH del substrato, ma anche dal grado di umidità, dalla luminosità e dall’apporto di azoto (Lisci et al., 2003).

Un famoso esempio è rappresentato dai monumenti megalitici di Stonehenge, dove la presenza di licheni è stata registrata già dal XVIII secolo. Secondo Powell et al. (2018), dal 1973 a Stonehenge sono state accertate più di 100 specie di licheni. In questa lista si annovera anche la specie marittima Ramalina siliquosa, che produce abbondanti e folti ammassi su pietre rimaste relativamente indisturbate nelle ultime centinaia di anni. Anche la biodiversità delle pertinenze delle chiese può essere molto elevata: finora sono state registrate 630 specie di licheni nei sagrati del Regno Unito, che rappresentano un terzo della flora lichenica britannica (Powell et al., 2018).

La comunità dei licheni può variare molto in base al tipo di pietra. In molti siti archeologici nei dintorni di Roma sono presenti monumenti realizzati con materiali esotici provenienti da aree distanti dell’Impero Romano. Tali monumenti ospitano oggi una flora di licheni incredibilmente ricca, con oltre 600 specie di licheni conosciute (Powell et al., 2018). Al contrario, alcuni marmi trovati in Ostia antica (Roma) sono ancora in perfette condizioni e non ospitano licheni o altre piante (Lisci et al., 2003).

La rimozione di licheni da pietre tombali, sculture e monumenti è ampiamente praticata; tuttavia, essa può danneggiare la pietra stessa e, nel caso di un uso esteso e ripetuto di biocidi, anche l’ambiente in generale (Pinna, 2014). Per questi motivi, Sheppard (2007) suggerisce di optare, se necessario, per un intervento minimale e propone invece di consentire ai licheni di contribuire all’estetica di certi monumenti.

Licheni e alberi: qual è la vera relazione?

Negli ecosistemi forestali, i licheni svolgono molti ruoli ecologici, che solo ora gli scienziati stanno iniziando a decifrare. I licheni rappresentano di per sè una piccola parte della biomassa nella foresta, tuttavia possono avere un impatto sproporzionato sui meccanismi ecosistemici.

I licheni che comprendono cianobatteri sono in grado di fissare l’azoto presente nell’aria. Questa perculiarità è di fondamentale importanza per il ciclo dei nutrienti nelle foreste umide, dove la biodisponibilità di azoto è il fattore chiave per la crescita della foresta stessa; ad esempio, nelle foreste pluviali temperate, i licheni di Lobarion forniscono fino a 16 kg di N per ettaro all’anno (Will-Wolf et al., 2002; Essen e Coxson, 2015).

I licheni rappresentano dei veri e propri microhabitat, forniscono cibo per gli invertebrati della foresta (es. collemboli) e materiale di nidificazione per uccelli e piccoli mammiferi. Gli animali, a sua volta, possono essere importanti vettori di dispersione per i licheni. L’erbivoria è bassa per la maggior parte dei licheni, probabilmente a causa del loro basso contenuto di nutrienti e per la produzione di composti di difesa. Tuttavia, i licheni rappresentano la principale fonte di foraggio per renne e caribù nelle foreste subartiche e boreali (Aptroot e James, 2002; Essen e Coxson, 2015).

La comunità di licheni epifiti (cioè i licheni che crescono sulle superfici di una pianta) viene controllata da una lunga serie di fattori che operano a livello dell’albero, della popolazione forestale e del paesaggio. A livello dell’albero, le caratteristiche più importanti sono la specie arborea, le caratteristiche chimiche (per es. il pH) del ritidoma (volgarmente detto corteccia) e la sua struttura (consistenza, stabilità, capacità di trattenere l’acqua), l’età dell’albero, il diametro, l’altezza e la struttura della chioma. Per quanto riguarda le condizioni della popolazione forestale, le comunità di licheni possono variare a seconda della composizione in specie arboree, della struttura della copertura vegetale (ovvero degli spazi vuoti presenti), della distribuzione in età, del microclima (aperture e tasso di umidità). Infine, a livello del paesaggio dovrebbero essere prese in considerazione altre caratteristiche quali l’altitudine, la topografia, la presenza di corpi idrici e l’eterogeneità del paesaggio (Essen e Coxson, 2015). Per questi motivi, la comunità lichenica può essere utilizzata come indicatore della funzionalità ecosistemica: alcune specie di licheni possono crescere solo sul tronco di vecchi alberi con ritidoma ruvido, i cianolicheni sono sensibili all’inquinamento, all’età e alla continuità delle foreste, le specie del genere Lobaria sono sensibili alla qualità dell’aria, e così via (Will-Wolf et al., 2002).

Per quanto riguarda l’effetto della colonizzazione dei licheni sulla salute delle piante, c’è ancora molta confusione. Spesso i licheni più rigogliosi sono presenti sugli alberi in cattive condizioni, quindi molte persone potrebbero pensare che siano essi stessi la causa principale di questa situazione. Al contrario, la maggior parte delle specie di licheni necessita di luce diretta per svilupparsi e proprio l’apertura nella copertura vegetale (dovuta ad esempio al deperimento di un albero) potrebbe produrre quel microhabitat con elevata umidità e luce diretta adatto alla crescita dei licheni. Sebbene siano saldamente attaccati alla superficie della pianta, i licheni producono i propri nutrienti mediante la fotosintesi e non prelevano i nutrienti dall’albero; in altre parole, nella maggior parte dei casi le piante non sono danneggiate dalla crescita dei licheni. La questione, tuttavia, non può essere risolta generalizzando questo assunto, in quanto sono presenti alcune (poche) segnalazioni di relazioni negative per specifiche combinazioni di alberi-licheni. È il caso, ad esempio, del lichene crostoso Lecanora carpinea e della specie arborea Populus tremula: Solhaug et al. (1995) hanno scoperto che la copertura del lichene causa l’ombreggiamento del ritidoma sottostante dimezzandone il tasso fotosintetico. È interessante notare che P. tremula ha adattato i meccanismi fotosintetici in quelle aree, neutralizzando l’effetto della copertura del lichene. Il lichene corticolo Evernia prunastri è stato studiato a lungo perchè può avere un effetto negativo sulla salute della querce. Il lichene secerne alcuni enzimi (come l’acido evernico) per ancorarsi ai tessuti vegetali. La conseguente penetrazione ifale è stata correlata alla notevole riduzione di vigoria delle querce indotta da processi allelopatici (Favero-Longo e Piervittori, 2010). Tuttavia, nella stragrande maggioranza dei casi, abbondanti colonizzazioni del ritidoma da parte di licheni corticoli sono una conseguenza e non la causa del deperimento.

Licheni e inquinamento: basta osservare.

L’utilizzo di organismi vivi per valutare l’inquinamento si è sviluppato in modo particolare negli ultimi decenni (Conti e Cecchetti, 2001) e, fra questi, i licheni sono i bioindicatori della qualità dell’aria più studiati. I licheni sono sensibili a molti tipi di alterazioni ambientali. Ad esempio, un alto tasso di inquinamento, in particolare di anidride solforosa, può causare danni al tallo. Il numero di specie di licheni tende a diminuire drasticamente dalla periferia al centro delle aree urbanizzate (Seaward, 1976).

I licheni possono essere impiegati come bioindicatori in due modi diversi:

mappando la biodiversità delle specie di licheni presenti in un’area specifica; uno dei metodi più famosi è l’elaborazione dell’Indice di purezza atmosferica (IAP); in Italia tale metodica è stata spiegata nel dettaglio dall’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA, 2001) per il calcolo dell’Indice di Biodiversità Lichenica.

– attraverso il campionamento individuale dei licheni e la misurazione analitica delle sostanze inquinanti che si accumulano nel tallo (per es. metalli pesanti, fluoruri, cloruri, composti dello zolfo, azoto e composti del fosforo, ozono, radionuclidi e altri inquinanti atmosferici; Conti e Cecchetti, 2001).

L’influenza dell’eutrofizzazione sulla comunità dei licheni è tra le più studiate. Ad esempio, nel 1989 è stata sviluppata una metodologia per il riconoscimento dell’inquinamento da ammoniaca, una grave minaccia per la vegetazione, il suolo e l’acqua potabile nei Paesi Bassi. I licheni sono stati rilevati su precise specie di alberi (preferibilmente, Quercus robur, Fagus sylvatica, Pinus spp.). Il rinvenimento di licheni nitrofili (per es. Caloplaca citrina, Lecanora muralis, Xanthoria polycarpa, …) e acidofili (per es. Cladonia spp., Lecanora aitema, Lepraria incana, …) permette infatti di determinare il grado di eutrofizzazione dell’aria in una data area (Van Herk, 2002).

Essendo molto sensibili ai cambiamenti nelle condizioni microclimatiche e nelle attività di gestione delle foreste, i licheni sono stati utilizzati per stimare la continuità ecologica delle foreste (ANPA, 2001). Specie bandiera indicatrice della continuità forestale è il lichene frondoso Lobaria pulmonaria: la sua sensibilità ai gas fitotossici (principalmente SO2 e NOx) consente di monitorare gli effetti dell’inquinamento atmosferico.

Utilizzi dei licheni, potenzialità e politiche di conservazione

Nel corso dei secoli, i licheni sono stati impiegati per vari scopi. I licheni sono entrati a far parte dell’alimentazione di molti animali e anche delle persone durante le carestie. Sin dall’antico Egitto i licheni sono stati usati come coloranti. I romani tingevano la toga con un pigmento marrone derivato da Parmelia spp., Ochrolechia spp.ed Evernia spp., oppure con un pigmento viola estratto da Roccella spp. Nel XVIII secolo i tessuti tinti con i licheni assunsero un valore economico importante per alcune parti del mondo come nelle Isole Canarie. Nell’antichità i licheni venivano impiegati anche per uso cosmetico (Mitrović et al., 2011). Gli estratti di alcune specie di licheni, come Evernia prunastri, sono ricchi di sostanze aromatiche e olii. I licheni erano usati nell’antico Egitto anche per l’imbalsamazione: il lichene Pseudevernia furfuracea veniva inserito nella cavità del corpo insieme a segatura, cassia e altre spezie, sia per le sue proprietà antibatteriche sia perché era altamente assorbente (Mitrovic et al., 2014).

L’applicazione più importante dei licheni è quella nella medicina tradizionale per il trattamento di animali e esseri umani. Nel mercato indiano delle spezie i licheni vengono attualmente venduti con il nome di “Chharila”, che consiste in una miscela di due o più specie di licheni. Chharila ha proprietà astringenti, lassative e carminative; ad essa vengono imputate anche proprietà afrodisiache. Il sistema di terapia ayurvedica prevede un ampio utilizzo di licheni. Peltigera canina è stato utilizzato per il trattamento della rabbia (Shukla et al., 2010). Le specie Usnea sono state adoperate in Asia, Africa ed Europa per il controllo della febbre e il sollievo dal dolore. Ramalina thrausta è attualmente usata in Finlandia per il trattamento di ferite o altre malattie della pelle e per alleviare il mal di gola e il mal di denti (Mitrović et al., 2011). Per assurdo, lo sfruttamento eccessivo delle popolazioni di licheni per uso umano è un problema serio per la loro conservazione, considerando che, anche se la domanda non sta aumentando, le dimensioni e la qualità di molti habitat che ospitano i licheni sono in calo (Scheidegger e Werth, 2009).

I licheni sono una fonte non utilizzata di nuove molecole bioattive per scopi farmaceutici, come agenti antimicrobici, antiossidanti e citotossici e nello sviluppo di nuove formulazioni o tecnologie a beneficio della vita umana, ma anche per scopi fitosanitari (Dayan et al., 2001; Zambare e Christopher, 2012). I licheni hanno dunque notevoli potenzialità applicative, ma per il loro lento accrescimento (secondo le tecniche di laboratorio attuali) non sono ancora stati giudicati idonei per uno sfruttamento commerciale.

Di contro, con uno sguardo al futuro, risulta difficile mettere in atto delle politiche di conservazione a tutela delle specie in pericolo di estinzione, a causa delle limitate informazioni presenti su tassonomia, abbondanza, esigenze e distribuzione delle specie in molti ecosistemi nel mondo (Hunter and Webb, 2002). A titolo di esempio, nonostante il fatto che l’Italia sia tra le aree lichenologicamente più conosciute in tutto il mondo, non è ancora stata prodotta una esaustiva Red List nazionale ufficiale di licheni (Nascimbene et al., 2013). Le principali minacce sono rappresentate dal degrado e dalla perdita degli habitat, la loro frammentazione, lo sfruttamento eccessivo, le specie invasive e i cambiamenti climatici. L’obiettivo principale nella conservazione dei licheni dovrebbe essere dunque il mantenimento della qualità e della dimensione degli habitat, insieme alla loro connettività (Scheidegger e Werth, 2009).

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