Longevità senza invecchiamento: la strategia applicata dagli alberi

Il mistero dell’invecchiamento è sempre stato una delle più grandi sfide per la mente umana (Brutovská et al., 2013).

Fra gli organismi più vecchi facilmente visibili a occhio nudo, gli alberi sono considerati fra i più affascinanti. Gli alberi conosciuti più antichi al mondo sono dei pini e appartengono alla specie Pinus longaeva (Tabella 1). In particolare, il record spetta a un P. longaeva vivente, il cui soprannome, non a caso, è Matusalemme: la sua età è stata stimata in 4852 anni ed è dunque germogliato nel 2832 aC (Rocky Mountain Tree-Ring Research, 2020).

L’età di un altro P. longaeva è stata stimata in 5062 anni nel 2010, ma la sua storia è molto più complicata. Nel 1957 Edmund Schulman campionò molte carote di legno da un P. longaeva nelle White Mountains della California orientale; purtroppo, Schulman morì all’inizio del 1958 e le carote furono analizzate solo successivamente da Tom Harlan. Harlan riportò dunque l’età dell’albero ma, sfortunatamente, poiché la posizione dell’albero non era nota e i campioni di legno andarono poi persi, l’esistenza di questo albero non venne mai confermata.

Alcuni pini loricati nel Parco Nazionale del Pollino

Un altro caso di Pinus longaeva, chiamato Prometeo, in Nevada, fu datato 4900 anni (Rocky Mountain Tree-Ring Research, 2020), ma venne abbattuto nel 1964 nell’ambito di una ricerca dendrocronologica del Currey.

Sebbene questi siano solo alcuni degli individui arborei noti più antichi al mondo, tecnicamente non sono gli alberi viventi più longevi. Esistono diverse colonie clonali, costituite da alberi geneticamente identici collegati da un unico apparato radicale, che risultano essere molto più antiche. Pando, situato nello Utah centrale, è una colonia di pioppo tremulo americano di 43 ettari che comprende circa 47000 “polloni” geneticamente identici (Rogers e Gale, 2017). Questo clone ha attirato l’attenzione internazionale per le sue immense dimensioni e l’impressionante età presunta: la stima della sua età varia da 10000 a 1000000 anni, con un’età più probabile di 80000 anni (Ally et al., 2008; Brutovská et al., 2013, National Park Service, 2020).

A livello europeo, il Parco Nazionale del Pollino, nell’Italia meridionale, custodisce alcuni maestosi alberi millenari: si tratta dei pini loricati (Pinus heldreichii var. leucodermis), che vivono sui ripidi versanti di alta montagna (1850–2150 m s.l.m.; Fig. 1). L’albero più antico campionato, chiamato Italus, ha un’età stimata di 1230 anni (Piovesan et al, 2018; Quarta et al., 2019).

Alcuni alberi vivono solo per pochi decenni, mentre altri sembrano essere potenzialmente immortali. L’invecchiamento delle piante, e in particolare quello degli alberi, è stato studiato molto meno dell’invecchiamento degli organismi animali e sono stati ottenuti solo risultati parziali che ne spiegano le cause della longevità (Brutovská et al., 2013). Scopriamole insieme.

Specie Età (anni)
Pinus longaeva 4600
Sequoiadendron giganteum 3200
Dacrydium franklinii 2200+
Juniperus communis 2000
Pinus cembra 1200
Agathis microstachya 1060
Fagus sylvatica 930
Olea europaea 700
Nyssa sylvatica 679
Tsuga canadensis 555
Pinus silvestris 500
Quercus alba 464
Quercus montana 427
Pinus rigida 375
Quercus rubra 326
Pyrus communis 300
Quercus velutina 257
Juglans nigra 250
Fraxinus excelsior 250
Pyrus malus 200
Hedera helix 200
Salix arctica 130
Cornus florida 125
Betula verrucosa 120
Populus grandidentata 113
Vitis vinifera 100

Tabella 1. Aspettativa di vita massima per singoli individui vegetali (da Thomas, 2000)

Cosa significa per un albero invecchiare?

Per molto tempo gli studi scientifici si sono concentrati nell’identificazione di un parametro che permettesse di valutare l’invecchiamento negli alberi. È bene ricordare che negli alberi la crescita avviene solo in determinate zone chiamate meristemi, che sono composte da cellule la cui funzione è principalmente quella di dividersi per formare nuove cellule. Tutte le piante possiedono meristemi che consentono loro, per esempio, di incrementare la lunghezza del fusto e delle radici. Questo è chiamato “accrescimento primario” e produce l’intero corpo della pianta nelle piante erbacee, mentre negli alberi e negli arbusti legnosi si concentra nei giovani germogli e nelle radici in crescita. Infatti nelle piante legnose, è possibile trovare un altro meristema – il cambio vascolare – che forma uno strato sottile di cellule nella periferia del fusto: questo meristema permette la produzione di legno e corteccia nel cosiddetto “accrescimento secondario”. Proprio il legno e la corteccia costituiscono la maggior parte del volume netto di alberi e arbusti (Solomon et al., 2004).

Il mantenimento dell’attività meristematica fa sì che alcune piante perenni legnose ed erbacee possano vivere per molti anni. Rispetto agli alberi giovani, i vecchi alberi sono caratterizzati da un ritardo nell’inizio della produzione stagionale di nuovo legno (xilogenesi), da una stagione di crescita più breve e da un tasso di crescita inferiore, con una produzione netta di cellule xilematiche inferiore rispetto ai giovani esemplari. Questo fenomeno suggerisce che nelle piante legnose l’attività del cambio vascolare possa essere direttamente correlata all’età (Wang et al., 2019).

Secondo Brutovská et al. (2013), la longevità degli alberi dipende molto dalle condizioni ambientali e la loro mortalità è principalmente dovuta a influenze esterne, piuttosto che all’invecchiamento interno. La senescenza di una specie varia molto a seconda del luogo in cui cresce il singolo individuo. Nel loro habitat naturale, per molte specie è stata infatti osservata una particolare combinazione di resistenza alle malattie, potenziamento delle difese e mantenimento della capacità di crescita vegetativa (identificata come possibilità di ricacciare vicino alla base del tronco). Un recente studio sugli alberi di ginkgo ha dimostrato che, nonostante con la senescenza il cambio vascolare mostrasse riduzioni dei tassi di divisione cellulare, espansione e differenziazione, i tassi di fotosintesi e di germinazione dei semi indicavano che i vecchi alberi erano ancora in uno stato maturo e sano. In altre parole, la senescenza non si era manifestata a livello generalizzato dell’organismo (Munné-Bosch, 2020).

L’abilità di compartimentare la senescenza

Un esempio di modulo fotosintetico di un Ginkgo biloba L.

Un esempio di modulo fotosintetico di un Ginkgo biloba L.

Quando guardiamo un albero, lo vediamo automaticamente come un individuo unico. In realtà gli alberi possono essere considerati costituiti da molti moduli ripetuti (Munné-Bosch, 2020), come le colonie di cnidari che compongono i coralli. Gli alberi sono infatti costituiti da unità (moduli) spesso in grado di produrre altri moduli simili (come nel caso della moltiplicazione delle piante con talee o micropropagazione). Pertanto, gli alberi possono essere considerati organismi modulari sviluppati dalla ripetuta iterazione sequenziale (ripetizione) di unità costruttive. Per esempio i fiori e le foglie possono essere considerati rispettivamente i moduli fotosintetici e riproduttivi delle piante; altri moduli possono essere rinvenuti nelle radici, nel fusto, nei rami e così via (Jones, 1997; Hallé, 2002).

A volte un singolo modulo può morire in seguito a un attacco esterno (es. un animale che si nutre di foglie, un fungo che cresce nell’alburno, ecc.). La senescenza o la morte di un singolo modulo non portano necessariamente alla morte dell’organismo totale: gli alberi hanno sviluppato soluzioni efficienti per arginare il danno (es. la compartimentazione delle ferite, l’eliminazione di un ramo, …). In altri casi, la morte può anche essere pianificata dalla pianta stessa (la cosiddetta morte cellulare programmata – PCD): si tratta di un processo geneticamente controllato, che porta una data cellula ad autoeliminarsi, indipendentemente dalla presenza di una causa esterna (Van Breusegem e Dat, 2006), per il beneficio globale dell’organismo. Il ruolo della PCD nello sviluppo delle piante è stato ben documentato in molteplici processi, fra i quali lo sviluppo delle radici, la formazione di elementi tracheali dello xilema e lo sviluppo dei semi. Inoltre, la PCD gioca un ruolo essenziale nelle risposte di difesa allo stress abiotico e biotico, come l’invasione dei patogeni. Ciò è particolarmente importante per le piante a causa della loro natura sessile, che impedisce la fuga fisica da condizioni ambientali difficili, agenti patogeni e erbivori. Senza la PCD, le piante soccomberebbero più facilmente ai microrganismi invasori e non avremmo grandi alberi sul pianeta (van Doorn e Woltering, 2005).

Il corpo di una pianta può essere dunque interpretato come un mosaico o una struttura modulare, che consente all’albero di sfuggire virtualmente alla morte o alla senescenza che si verifica nei suoi moduli (Munné-Bosch, 2020).

Quindi, quanta parte di un albero può essere considerata viva?

Gli alberi iniziano la loro vita con la germinazione di un seme, composto quasi completamente da cellule “iperattive”. Già dal secondo anno, con l’accrescimento secondario, la situazione cambia: la percentuale di cellule vive rispetto al volume totale della pianta diminuisce con la crescita. Con il passare degli anni, negli alberi decidui maturi gran parte del corpo vegetale è costituito da tessuti morti; anche la chioma viene rinnovata e persa ogni anno (Thomas, 2013). Tuttavia, tutte queste parti morte risultano essere necessarie per la vita dell’albero stesso.

Nelle piante alcune tipologie di cellule vegetali, infatti, devono proprio andare incontro alla morte per diventare funzionali. Se ne riportano di seguito degli esempi:

Aponogeton madagascariensis (Mirb.) H. Bruggen

Aponogeton madagascariensis (Mirb.) H. Bruggen

  • Le foglie sono il luogo per antonomasia della fotosintesi e della produzione di ormoni e altre sostanze chimiche. Durante lo sviluppo della foglia alcune cellule possono morire e permettere la formazione di foglie settate (es. Monstera), a ventaglio più o meno profondamente tagliate (es.  nelle palme) o caratterizzate dalla presenza di buchi (es. Aponogeton). Questo processo permette alla pianta di ottenere una forma particolare della foglia tale da soddisfare le sue esigenze ecologiche.
  • Il tronco e i rami di un albero hanno le funzioni principali di supporto e di trasporto della linfa. Ciò è possibile grazie alla ben nota morte degli elementi xilematici: a maturità, queste cellule vengono svuotate da tutto il contenuto intracellulare, trasformandosi in dei “tunnel” cavi che permettono un efficiente passaggio dei fluidi. Le restanti pareti cellulari sono molto spesse e forniscono supporto meccanico alla pianta per evitare che collassi sotto l’alta pressione derivante dal peso e a causa della pressione negativa all’interno dei vasi stessi (Jung et al., 2008). Anche le sclereidi, particolari cellule con funzione prevalentemente di supporto, sono cellule morte con una parete secondaria molto spessa.
  • Il ritidoma (volgarmente detto corteccia) che si forma esternamente su rami, fusto e radici ha la funzione principale di proteggere il cambio dai possibili danni: anch’esso è composto da cellule morte.
  • I fiori sono rientrano nel processo di riproduzione degli alberi, ma in pochi sanno che essi sono spesso inizialmente bisessuali. Lo sviluppo dei fiori maschili, infatti, avviene con la morte programmata (PCD) di alcune cellule nel pistillo (parte ♀) già sviluppato e lo sviluppo dei fiori femminili è determinato anch’esso dalla PCD degli stami già sviluppati (parti ♂). Nelle angiosperme, diverse cellule specifiche degenerano anche durante la formazione delle cellule spermatiche (♂) e degli ovuli (♀). Prima o durante la fecondazione il micropilo (un’apertura molto piccola nella copertura dell’ovulo) muore per permettere l’entrata della cellula spermatica. Inoltre, la crescita e la germinazione dell’embrione possono avvenire solo grazie alla morte delle cellule del sospensore, un componente che riveste un ruolo attivo nel promuovere la crescita e lo sviluppo dell’embrione nelle prime fasi dell’embriogenesi (Gunawardena, 2008; Reape et al., 2008).

Riassumendo, tutte queste parti morte hanno una loro funzione specifica e unica per l’albero: un numero elevato di cellule morte consente lo sviluppo di un numero modesto di cellule vive.

Gli alberi sono potenzialmente immortali?

La senescenza e l’invecchiamento nelle piante divergono radicalmente dai processi equivalenti negli animali a causa delle profonde differenze nell’organizzazione e nello sviluppo (Thomas, 2000). Paradossalmente, per gli alberi la morte è parte integrante della vita. La morte cellulare è essenziale per la crescita e lo sviluppo, mantenendo l’omeostasi dei tessuti e degli organi di concerto con la proliferazione, la crescita e la differenziazione delle cellule. Sebbene gli alberi coesistano con porzioni significative di tessuto morto, nel loro habitat naturale in molte specie longeve la senescenza risulta essere un fattore trascurabile. Gli alberi longevi hanno infatti sviluppato meccanismi molto efficienti come il mosaicismo, la tolleranza allo stress, la plasticità e la crescita indeterminata, che possono aumentare la durata massima della vita.

Ciò significa, tuttavia, che questi alberi millenari potrebbero essere anche immortali? L’arte della resilienza non può fornire una protezione infinita contro l’usura del tempo. L’invecchiamento, come parte stessa della vita degli alberi, può infatti essere considerato una sorta di stress da cui alla fine nessun organismo può sfuggire. Infatti, gli individui da primato che raggiungono età record nelle popolazioni naturali sono sempre un’eccezione piuttosto che la regola (Munné-Bosch, 2020).

 

Bibliografia

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