L’anastomosi radicale, uno splendido esempio di collaborazione

Nell’immaginario comune, ogni albero viene visto come un’entità distinta, che va a competere con le piante contigue per spazio, luce, acqua e nutrienti. Questa concezione tradizionale sta radicalmente cambiando e nelle ricerche scientifiche viene dato sempre più spazio a tematiche complesse, che vanno a connettere in maniera intima (e a volte a livello microscopico) l’individuo arboreo al suo contesto. Uno splendido esempio di queste interazioni è l’anastomosi radicale.

Che cos’è l’anastomosi radicale

L’anastomosi radicale, o innesto radicale, è la formazione di una interconnessione fra radici della stessa pianta, fra radici di piante diverse della stessa specie, o, meno frequentemente, fra radici di specie diverse. Questo fenomeno avviene in maniera naturale quando due radici compatibili sono così vicine l’una all’altra che, crescendo, iniziano a effettuare una pressione reciproca, fino ad congiungersi. Con il tempo, l’unione, inizialmente meccanica, diventa funzionale con la formazione di una sorta di continuità vascolare: le radici vanno a riformare un unico cambio e a condividere gli elementi conduttori del floema e dello xilema (Larson, 1994). Con l’anastomosi radicale le due piante possono dunque condividere acqua, sali minerali, regolatori di crescita, zuccheri, etc. ma anche componenti esogeni come le spore fungine o sostanze erbicide.

Le variabili in gioco

Le specie vegetali in grado di effettuare l’anastomosi radicale sono moltissime, ma la maggior parte degli studi sono stati concentrati su Quercus rubra, Pinus pinaster, Pinus strobus, Picea abies, Fagus sylvatica e Platanus hybrida (Danjon et al., 2013). Molti fattori possono influenzare il successo nella formazione di una anastomosi radicale: oltre alla compatibilità fra le due radici, si annovera inoltre la vicinanza dei due esemplari, la morfologia e la densità radicale, il tipo di suolo (l’innesto radicale intraspecifico avviene con maggiore frequenza in terreni poco profondi), il contenuto idrico del suolo e l’inibizione chimica da parte di essudati radicali (per approfondimenti, https://drp.bio/it/abitanti-del-suolo-questi-sconosciuti/; Graham e Bormann 1966, Fraser et al. 2005).

I vantaggi dell’anastomosi radicale

I vantaggi derivanti dall’anastomosi radicali possono essere davvero molti e vanno a compensare l’investimento energetico per la loro formazione. Nel 2011, Lev-Yadun ne fece una lista esaustiva, includendo anche ipotesi personali interessanti; di seguito se ne riporta un estratto:

  • l’anastomosi radicale può rinforzare l’apparato radicale e migliorare l’ancoraggio; questo si traduce, per esempio, in un supporto meccanico utile nella resistenza al vento;
  • nelle piante che si riproducono vegetativamente, è alta la probabilità che la pianta “vicina” rappresenti un discendente della medesima popolazione: in questo caso l’innesto radicale intraspecifico può rappresentare un supporto alla sopravvivenza del proprio genotipo;
  • tra piante che si riproducono sessualmente, la cooperazione attraverso l’anastomosi radicale intraspecifica può aumentare il successo riproduttivo della specie, sostenendo gli esemplari di sesso opposto;
  • le radici producono una ampia gamma di sostanze; una parte di questi agiscono come tossine per la difesa della chioma; la condivisione di questi metaboliti con l’anastomosi radicale può dunque aumentare la gamma di difese chimiche contro erbivori e patogeni per il singolo individuo;
  • nel caso di attacco da parte di taluni parassiti, l’anastomosi radicale può risultare molto utile per mantenere una crescita regolare. Un esempio importante viene dato da Salomón et al. (2016): i ricercatori effettuarono una ricerca nei boschi del Quebec e scoprirono che la crescita di esemplari di Picea mariana rimaneva stabile durante gli attacchi del defogliatore Choristoneura fumiferana Clem grazie alle anastomosi radicali fra alberi attaccati e non.

 

Ma cosa succede dunque quando uno dei due esemplari viene fortemente danneggiato?

In caso di perdita della chioma, per esempio a causa di un forte temporale, del carico della neve o di un incendio, la ceppaia può sopravvivere per lunghi periodi, persino secoli, grazie agli scambi a livello dell’anastomosi radicale; questa sorta di parassitismo è già stata riportata per circa 200 specie (Graham e Bormann,1966). Nel 2007, Tobin et al. scoprirono che una percentuale significativa (dal 2 al 11%) delle ceppaie di Picea sitchensis in alcuni boschi nella regione delle Midlands in Irlanda presentavano un callo in formazione; essi associarono questa vitalità delle ceppaie alle anastomosi radicali con gli alberi vicini. Nel lungo periodo, all’albero sopravissuto può convenire mantenere viva la ceppaia perchè questa, per esempio, previene l’occupazione di un certo spazio di suolo da parte di altre specie, che potrebbero competere per acqua, minerali e luce (Lev-Yadun, 2011).

Patogeni e anastomosi radicale

Ma l’anastomosi radicale può essere vista anche come una “spada a doppio taglio”. I benefici vengono infatti a mancare quando talune specie vengono attaccate da patogeni potenzialmente letali che si possono trasmettere tramite l’anastomosi radicale stessa; questo è il caso di certi virus (Jones, 2018) o di molti funghi come, per esempio, Phytophthora lateralis, Fomes annosus, Polyporus schweinitzii, Endothia gyrosa, Poria weirii, Armil­laria mellea, Verticillium spp. e Ceratocystis fagacearum (Epstein, 1978). In alcune situazioni, l’incidenza del fenomeno può diventare davvero evidente, come nel caso del cancro colorato del platano: l’agente patogeno, Ceratocystis platani, può infatti diffondersi da un platano all’altro attraverso le anastomosi radicali (Montecchio L., 2016). Per questo motivo, la normativa italiana prescrive l’estirpazione della ceppaia dopo il taglio del soggetto infetto. Un altro caso particolare è quello del fungo Ophiostoma ulmi, causa della grafiosi dell’olmo, che ha ucciso almeno il 10% della popolazione europea degli olmi. La via di trasmissione più importante è rappresentata da coleotteri dei generi Scolytus, Pteleobius e Hylurgopinus, che trasportano passivamente le spore del fungo su piante sane; alcune ricerche hanno però evidenziato che le infezioni avvenute attraverso anastomosi radicale di solito portano a morte l’albero molto più velocemente rispetto che quelle causate dagli insetti vettori (CABI, 2019).

Anastomosi radicale: un vantaggio evolutivo?

In conclusione, il significato ecologico dell’anastomosi radicale non è ancora stato del tutto chiarito. La condivisione di risorse e metaboliti secondari fra gli alberi potrebbe infatti mettere in dubbio il concetto classico di competizione (Begon et al., 2006; Tarroux e DesRochers, 2011). Ciononostante, molti ricercatori sono concordi nell’affermare che l’anastomosi radicale non sia una conseguenza accidentale alla vicinanza di due radici, ma che essa possa rappresentare un vantaggio evolutivo per le foreste stesse (Tarroux e DesRochers, 2011). Perchè, come diceva il famoso biologo Theodosius Dobzhansky, “nulla in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione“.

Bibliografia

Begon M.J., Harper L., Townsend C.R., 2006. Ecology: From individuals to ecosystems. Blackwell, Malden, Massachusetts, USA. [https://www.wiley.com/en-us/Ecology:+From+Individuals+to+Ecosystems,+4th+Edition-p-9781405111171]

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Salomón R.L., Tarroux E., DesRochers A., 2016. Natural root grafting in Picea mariana to cope with spruce budworm outbreaks. Canadian Journal of Forest Research 46, 1059–1066. doi: 10.1139/cjfr-2016-0121 [https://www.nrcresearchpress.com/doi/10.1139/cjfr-2016-0121#.XSWrLo9S9PY]

Tarroux E., DesRochers A., 2011. Effect of natural root grafting on growth response of Jack Pine (Pinus banksiana; Pinaceae). American Journal of Botany 98(6), 967–974. doi: 10.3732/ajb.1000261 [https://bsapubs.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.3732/ajb.1000261]

Tobin B., Black K., McGurdy L., Nieuwenhuis M., 2007. Estimates of decay rates of components of coarse woody debris in thinned Sitka spruce forests. Forestry 80(4), 1–15. doi: 10.1093/forestry/cpm024 [https://academic.oup.com/forestry/article/80/4/455/587455]