Abitanti del suolo, questi (s)conosciuti
Siediti sotto la chioma di un albero. Nascosto sotto ai tuoi piedi c’è un mondo misterioso e complesso, la rizosfera. La rizosfera è “il campo di azione delle radici delle piante” e può essere vista come la triplice interazione di suolo, piante e organismi (Lynch, 2004). Nonostante la ricca letteratura storica sulla fertilità e sulla gestione del suolo, che risale anche a testi di antiche civiltà di Medio Oriente, Cina, India e Mediterraneo, è solo negli ultimi decenni che gli ecologisti hanno iniziato a studiare in profondità la natura complessa delle comunità biologiche del suolo ed i loro processi ecosistemici. La rete di organismi nel suolo è composta da numerosi elementi, fra i quali i microorganismi (es. batteri e funghi), la microfauna (es. protozoi e nematodi), la mesofauna (es. microartropodi) e la macrofauna (es. lombrichi e millepiedi). Questi organismi attraversano tutta la gamma di livelli trofici: per esempio, alcuni si nutrono principalmente della lettiera o delle radici delle piante (detritivori ed erbivori), mentre altri si alimentano di microbi o sono carnivori (Bardgell, 2005). Gli organismi del suolo e la comunità vegetale sono intimamente legati l’un l’altro (Mueller et al., 2015). Il microbiota del suolo è responsabile di una vasta gamma di processi biogeochimici, tra i quali la mobilitazione dei nutrienti (governata direttamente dalle attività di batteri e funghi), la decomposizione e i flussi di gas (Urbanová et al., 2015); le piante forniscono nutrienti alla comunità dei decompositori, che a loro volta ricicla il materiale vegetale morto e rende disponibili le sostanze nutritive per l’uso da parte dei vegetali; le radici delle piante, inoltre, fungono fisicamente anche da luogo ospitale per molti organismi del suolo (Bardgell, 2005). Oltre a ciò, le specie vegetali influiscono sulla composizione della comunità microbica del suolo che vive intorno alle radici modulando gli essudati radicali, che a sua volta possono influire sul pH del terreno nei micrositi attorno all’apice della radice. Inoltre, le specie vegetali e microbiche possono essere connesse attraverso interazioni negative (es. piante-patogeno) o associazioni simbiotiche positive, come i batteri azotofissatori o le micorrize (Cassman et al., 2016). La micorriza, in particolare, è un sistema di mutuo beneficio che coinvolge un organismo terrestre del regno Plantae (chiamato “ospite”) e un organismo del regno Fungi (detto “simbionte”). Essa consiste in uno scambio intimo a livello degli apici radicali: la pianta ottiene acqua e sostanze nutritive, specialmente azoto (N) e fosforo (P), con maggiore facilità e continuità dal fungo; il fungo riceve carboidrati ed essudati radicali dalla pianta (Koske e Gemma, 1992, Montecchio e Rossi, 2000).
E’ stato stimato, a titolo di esempio, che nelle foreste temperate fino al 75% di N e P viene fornito alle piante da batteri azotofissatori o dai funghi micorrizici (van der Heijden et al., 2008). Sebbene i funghi micorrizici siano associati con la maggior parte delle piante all’interno di ogni comunità, il coinvolgimento di questi funghi è particolarmente frequente quando i nutrienti nel suolo sono poco disponibili (Johnson et al., 2003). Inoltre, i feltri miceliali micorrizici creano una nicchia specifica che spesso è caratterizzata da un elevato contenuto di ossalato e da un basso pH, cosicchè in essa sono presenti diverse comunità microbiche rispetto al terreno circostante (Poole et al., 2001; Kluber et al., 2010). Considerando tutto questo, le comunità batteriche e fungine nel terreno con con presenza di piante differiscono da quelle nel terreno nudo, in quanto il primo contiene una maggiore percentuale di microrganismi simbiotici ed, in generale, molta più biomassa microbica (Urbanová et al., 2015).
Attualmente, le conoscenze su quanto le specie arboree possano influire sulla diversità fungina e batterica del suolo, e viceversa, sono incomplete. Quello che è noto è che la comunità fungina è influenzata dalla vegetazione molto più di quella batterica, specialmente per quanto riguarda i funghi simbiotici alla radice (spesso specie-specifici; Burns et al., 2005; Urbanová et al., 2015). Un altro esempio è dato dallo studio di Hui et al. (2017), secondo il quale nelle aree urbane la composizione della comunità microbica varia non solo in base alla composizione delle specie vegetali, ma anche con l’età del parco. Al secondo posto per entità di influenza, i cambiamenti nella chimica del suolo possono generare variazioni nelle comunità microbiche (Burns et al., 2005). In particolare, la variazione del pH può alterare la comunità dei batteri; tra gli elementi chimici, l’apporto di azoto ha un forte effetto sulla biomassa microbica, aumentando la biomassa fungina (ma non batterica) nella lettiera e la biomassa batterica (ma non fungina) nel suolo (Urbanová et al., 2015). La fertilizzazione inorganica altera le caratteristiche del suolo, causando degli effetti a catena: l’aggiunta di nutrienti può influenzare direttamente la composizione della comunità di microorganismi, favorendo specie più adattate funzionalmente allo sfruttamento dell’apporto di nutrienti, o agire indirettamente sullo stato fisico-chimico del suolo o sulla produttività delle piante (Cassman et al., 2016).
Negli ultimi anni, c’è stato un’aumento esponenziale degli studi che riguardano il microbiota del suolo e le sue interazioni con le piante, al fine di prevedere le conseguenze del declino di un ecosistema o i cambiamenti nella diversità biologica a causa del cambiamento globale (Bardgell, 2013; Chao et al., 2014). In confronto alle ampie conoscenze sugli organismi “fuori terra”, le informazioni attuali sull’attuale diversità dei gruppi di biotopi del suolo sono molto scarse e limitate a pochi ecosistemi e ad alcuni gruppi di organismi tassonomici al loro interno. Gli organismi del suolo non sono facilmente visibili e risultano difficili da studiare. Gli inventari delle specie per un singolo sito comportano studi lunghi e costosi, che richiedono un ampio range di tecniche e abilità diverse (Hawksworth, 2001): ad esempio, il costo dell’inventario di tutti i funghi nell’area di conservazione di Guanacaste in Costa Rica è stato stimato in 31,6 milioni di dollari. In seguito all’avvento di metodiche di analisi molecolari utili all’identificazione e alla delimitazione delle specie, il numero di specie fungine descritte ha avuto un’impennata, ma questo non è ancora sufficiente. Sulla base di stime recenti, il numero delle specie fungine sulla terra è stato valutato tra i 2,2 e i 3,8 milioni, ma le specie ufficiali attualmente descritte sono solo 120000. Esse dunque rappresentano, nella migliore delle ipotesi, solo l’8% del totale e, nella peggiore delle ipotesi, solo il 3% delle specie fungine sulla terra (Hawksworth e Lücking, 2017). La maggior parte delle specie fungine non conosciute è legata ad aree geografiche non ancora studiate o a caratteristiche di cripticità (es. quando i funghi non si manifestano nell’ambiente con strutture distinguibili ad occhio nudo o sono difficilmente coltivabili in laboratorio). Inoltre, in base a un recente studio (Carini et al., 2016), il DNA extracellulare derivante da microrganismi morti può persistere nel terreno per settimane o anni e questa dinamica può rendere più difficoltosi gli studi molecolari.
Secondo il quadro delineato, la conoscenza della rizosfera è aumentata esponenzialmente negli ultimi decenni, ma dobbiamo tenere presente che non sono ancora state scoperte la maggior parte delle specie e le dinamiche tra loro e le piante. Questo probabilmente rappresenta la causa della mancanza di efficacia, in alcuni casi, di fertilizzanti biologici, inoculi micorrizici e ammendanti, quando applicati in contesti non recettivi. Tutte queste dinamiche dovrebbero essere considerate quando ci si approccia alla gestione della rizosfera degli alberi.
Bibliografia
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